giovedì 29 dicembre 2011

Per te

mercoledì 21 dicembre 2011

Col cuore pieno di gioia e di colesterolo

- Lo sciopero del treno dei poveri;
- la puntualità del treno dei ricchi;
- la mini-lezione al mini-pianista;
- la succulenta bourguignonne preparata dai R.E.E.M.;
- il Cisalpino in panne;
- past simple e present perfect;
- la Svizzera, Zurigo e la neve;
- i nostri amici, la mia amica;
- una casa di cartone oltralpe;
- due cuori e un campanello;
- lo squisito ragù vegetale e il peperoncino di Nunziatina;
- i regali;
- croissant con cioccolato a pezzi;
- shopping svizzero con prosecco;
- fondue, cervelat, pretzel e vino come se piovesse;
- concerto a quattro mani per tablet e risate;
- il Politecnico e la Polybahn;
- il gabinetto Steinway & Sons;
- il Voip e le difficoltà di spiegare al nonno che anche se sei
all’estero il tuo numero inizia con 095;
- “nonno Teodoro da Catania… e basta!”;
- “nonno Teodoro da Catania… tutto fatto!”;
- due bravi fisici che trovano ciò che è giusto desiderare, altrove;
- paesaggi di ghiaccio;
- rendersi conto che un altro tipo di vita è possibile.














Tschüß!

lunedì 12 dicembre 2011

Clavis aurea

Le chiavi possono essere parole, onorificenze, elementi architettonici, informatici e musicali, attrezzi.
Chiavi di casa, della catena della bici, della cassetta della posta, del lucchetto della valigia, della nonna (tanto grandi che nessun portachiavi potrà mai “portare”)...
La mia chiave non chiude.
Apre, ma non chiude.
Se devo andare a prendere il treno, o perdo il treno cercando di girare la chiave o lascio la porta di casa aperta: devo rifare la chiave, o la serratura.
La mia chiave ha aperto pochi usci relazionali, e quando l'ho forzata si è rotta.
Ha chiuso rapporti di scatto, a doppia mandata.
Ho aperto legami e chiuso relazioni (difficilmente/difficilmente).
Ho riempito serrature di colla bicomponente.
Ho riaperto vincoli socchiusi e sfondato porte aperte (difficilmente/difficilmente).
Avere un mazzo di chiavi rigoglioso, che ti gonfia la tasca, ha i suoi vantaggi, ma pesa.
Ho aperto tante porte per la prima volta, e avuto la visione prima che si ha dei luoghi, una volta soltanto... poi mai più. Poi l'abitudine.

Perdere le chiavi è una delle cose più fastidiose: ho avuto le chiavi di casa troppo presto, a nove anni, e non ce n'era motivo dato che non uscivo ancora senza i miei genitori. Le ho avute perché le avevano i miei fratelli adulti, e allora con la mia tecnica del martellamento (meglio nota come intontimento da chiacchiera) le ho ottenute anch'io. Erano verdi, e le ho perse in un nano-secondo. In realtà ho perso la borsetta in cui erano contenute, e mi sono subito auto-denunciata (non avevo ancora idea che se c'è una cosa che non premia coi miei è la sincerità; l'avrei capito solo più tardi, a mie spese, anche un po' a loro spese). La seconda volta che ho perso le chiavi di casa avevo quattordici anni e non le avevo veramente perse, ma mi erano cadute sotto l'armadio di una mia amica, senza che me ne accorgessi, e dopo qualche giorno lei le aveva ritrovate e me le aveva ridate... nel frattempo a casa avevano già cambiato tutte le toppe e io avevo avuto il mio "cazziatone ferma-cuore".

Si definisce “cazziatone ferma-cuore” un particolare tipo di rimprovero che arriva da un luogo lontanissimo nelle viscere di chi lo sta per muovere a una velocità supersonica, ma data la distanza, tu immagini che ci metta un po' a sopraggiungere, quindi ti prepari alla svelta, ma la sveltezza non è mai abbastanza, e quello arriva, e avendo viaggiato nella stessa direzione del moto della terra, arriva ancora prima, ti coglie e tu smetti di respirare, e il tuo cuore smette di battere per qualche secondo, ti formicola il braccio sinistro, e una scossa ti arriva sotto l’ascella dalla punta delle dita.

Chiavi non ne ho più perse, ma ne ho cambiate parecchie: sono cambiate le porte, le case, i portachiavi, io.

(Rumore di chiavi: è arrivato! TRUC-TRUC-TRUC)

martedì 6 dicembre 2011

Salvavita Pischelli

Era la fine di novembre del 2000, e noi eravamo la V B: una classe terribile, composta da undici femmine e un maschio; facevamo a gara a chi faceva meno, e se qualcuno si azzardava a fare i compiti, gli altri lo prendevano come un affronto personale; una classe litigiosa e lunatica, una classe media, "mediamente isterica".
Quel giorno arrivarono due assistenti sociali di una casa-famiglia del circondario che volevano promuovere la Giornata mondiale della lotta contro l'AIDS nella discoteca del paese, e per quest'evento avevano indetto una selezione per la creazione di un manifesto con relativo slogan.
Si erano rivolti a noi in quanto Liceo Artistico, e noi abbiamo accolto con entusiasmo l'ipotesi di vedere affisso un manifesto con su scritto "realizzato dalla V B" addirittura all'Unzunz!!! (che figata)
La classe si è divisa nelle solite fazioni e abbiamo fatto dei bozzetti che abbiamo consegnato in mezz'ora alla tipa... beh, la casa-famiglia ha mandato in stampa direttamente il bozzetto, e noi ci siamo rimasti  un po' male perché l'avessimo saputo prima ci saremmo impegnati di più già nella fase dello schizzo, però eravamo contenti e orgogliosi del nostro bel mappamondo coperto da un enorme preservativo, e delle zone dove questo non era ancora srotolato, piene di puntini rossi che indicavano le parti della terra ad alta percentuale di contagio (sull'esattezza cartografica stenderei un "telo" pietoso, giacché nella foga del momento, novelli esploratori, scoprimmo terre mai emerse, e le disegnammo pure), ma la cosa più bella era il motto: Il mondo ha bisogno di lattice per preservarsi dall'AIDS.
La classe era finalmente unita e soddisfatta, avevamo avuto in dono delle magnifiche spillette col nastrino rosso, la vita ci sorrideva... quand'ecco che, il nostro giovane professore di religione ci spense con poche lapidarie parole: «Quel vostro manifesto è una vergogna: non c'è bisogno di lattice, ma di amore per preservare il mondo dall'AIDS»! Dopo un attimo di perplessità tornammo la classe apatica di poco prima e ci incolpammo a vicenda dell'imprecisione della bozza, delle assurdità geografiche, di quella frase "immorale".
Oggi per fortuna i ragazzi li usano i preservativi, non si travestono più da Diabolik per comprarli, e non hanno più vergogna di adulti benpensanti, ma dieci anni fa c'erano molte più remore - amore o non amore - nonostante ci trovassimo in un paese "civilizzato" e "acculturato"... Oggi direi al "miope" docente: «C'è bisogno di onestà intellettuale per preservarsi dalla retorica, prof»!

 

giovedì 1 dicembre 2011

La proprietà intellettuale è cosa seria: se dovete farvi il "personal statement", scrivetevelo da soli!

The X School of Music is my ideal of musical academic institution, for its high standards of performance, its philosophy, its history and its prestigious teachers.
X is one of the greatest music schools in the U.S. and the music for it, in cultural affairs, has a place of respect, and that for me, an Italian musician accustomed to seeing downgraded the role of musical culture in his country (despite the big Italian musical history), is really special.
I strongly believe in the vital function of music in society at all levels and all ages, and this led me to organize various musical events in South of Italy, to embroil ordinary people in what to me is a necessity existential.
Even when I taught piano to children I tried to convey to them my passion because children are the audience of the concerts of the future.
I think that music should live among the other Arts because everything can affect what's around, and I did some multisensory experiences collaborating with the Museum of Contemporary Art of Y (Sicily, Italy) and involving an audience often stranger to this sort of performances.
For me, music is a profession and a life style, and X will have a huge weight in both these things, so, I hope to take from your school, but also give it a lot.
Although I already had a good and lasting experience of studying abroad (in Z), I am sure that this will be different, because now I am more mature and motivated, and I would be honored to become part of the variety of students that a school, great as your, can claim in its community.
I love my culture and I am happy that I have received training in Italy, specially by Z, but at this point in my life, my curiosity and my desire for knowledge drive me to try new experiences in a country that has always fascinated me, since I read the flattering words that Italian writers Elio Vittorini and Cesare Pavese wrote about it.
I'm a very active person with strong will and sense of duty for any things that I love to do: study at the X School for me would be a goal for my training and a starting point for my career because I am enough “hungry” and “foolish”!

domenica 27 novembre 2011

I miei temi di Italiano nuocevano gravemente alla salute dentale

Io amo le parole, amo scriverle, elencarle, leggerle.
Amo certe parole scritte dagli altri, certe parole scritte da me, leggere negli altri parole che potrebbero essere mie.
Leggere, insieme a poche altre, è la mia azione preferita.
Quando ho ricevuto in dono il mio primo libro avevo 10 anni: Cosetta, tratto da I miserabili di Victor Hugo, aveva la copertina blu rigida e mia madre si stupì molto che la mia madrina avesse scelto un così bizzarro regalo: «Che te ne fai?» disse.
Poi sono passata ai romanzi ottocenteschi interi: russi, francesi, inglesi… poi al Novecento. Mi sono iscritta a Lettere e lì ho letto di tutto, ma all'università non leggevo più per il gusto di farlo, nel tempo libero, perché era il tempo occupato che occupavo leggendo... 
"Lettere" mi ha cambiato per sempre la lettura: ogni volta che aprivo un libro non era più per conoscere una storia nuova, ma, armata di matita, per analizzarne l'architettura. Era più forte di me.
Solo da poco tempo mi sono riappropriata della naturalezza dell'atto in sé, anche se, certe fisse, per fortuna, non passano più: una bellissima è quella dell'intertestualità... mi sento sempre soddisfatta quando trovo citazioni nascoste, faccio sempre molto caso a “come” è scritto un testo, anche se, ultimamente, riesco a scindere il giudizio stilistico-formale da quello contenutistico.
Al top ci sono i libri che soddisfano tutte le mie ossessioni, poi ci sono quelli che mi piacciono di per sé, quelli che non hanno nessuna pretesa, sono scritti in un italiano fluido senza borie di rivoluzione, eppure mi colpiscono perché certe frasi le trovo scritte lì da qualcun altro, ma io le ho pensate.
Senza saperlo, ho fatto gli stessissimi pensieri, ed è come rileggersi.
Nel post precedente parlavo del libro d’esordio di Fabio Volo, e mai avrei pensato di potergli dedicare più di un post del mio blog, tuttavia, sento l’esigenza di riportare quelli che reputo “incontri” tra me e lo scrittore, in un mondo parallelo, dove risiedono i miei pensieri e spesso converso con autori più o meno grandi.

[…]
Ma parliamo dei miei.
L’ultima volta che sono andato a casa li ho visti in modo diverso, mi sono accorto che stanno invecchiando. Ho sempre dei sensi di colpa nei loro confronti , colpa di tornare a trovarli troppo raramente, colpa di non essere in grado di esprimere quanto li amo, colpa perché dopo un po’ che sono da loro, mi viene voglia di andarmene e tornare ‘a casa mia’.
[…]
Il rapporto con mio padre è diverso da quello con mia madre, perché è un rapporto nuovo, ritrovato: non sembra che sia evoluto, ma improvvisamente è cambiato. Mio padre ora, più passa il tempo, più diventa un figlio.
[…]
Un ricordo di mio nonno  che spesso mi torna in mente è legato alla sua morte. Mio nonno era uno di quelli che non voleva andare in ospedale, uno di quelli che pensava che se fosse entrato in un ospedale ne sarebbe uscito solo morto, e diceva sempre: «Se devo morire, voglio godermi gli ultimi giorni di vita in casa mia».
[…]
Le lenzuola di mia nonna hanno sempre fatto più rumore di qualsiasi lenzuola abbia mai incontrato nella vita, forse perché erano più spesse e resistenti o forse semplicemente perché non usava l’ammorbidente.
[…]
Deodorante, cotton fioc (che sono una goduria quasi come quella sessuale)
[…]
Mi sono detto: «O lo fai adesso o non lo farai più», ma sai qual è il motivo che mi frena, anzi i motivi?
Il primo è la famiglia: anche se non vivo più con loro, posso comunque andare a trovarli, e mi dico sempre che un giorno non ci saranno più, quindi vorrei godermeli il più possibile. Anche se, come ti ho detto, poi alla fine li vedo pochissimo.
Il secondo motivo è questa fottutissima paura del futuro.
[…]
Spesso in un paese lontano scopri le meraviglie della tua vita.
[…]
(Quando mi lavo i denti sputando l’acqua mi piace pulire il lavandino.)
[…]
Voglio accettare questa occasione? […] devo decidere, decidere ora.
Vorrei non doverci pensare […] mi piace anche molto starmene in casa, mi piacciono molto anche le lenzuola pulite e profumate, la luce soffusa, […] il caffè fatto con la moka, la doccia, la vasca da bagno, i cuscini, il computer, […].
L’equilibrio, le carezze e il silenzio.

Vorrei aggiungere solo due cose: 
- di questo libro ho apprezzato l’approccio immaginifico al sesso alla Arturo Bandini (specialmente la storia con Heather Parisi), l’elogio alla “sega”, e l'affermazione: «I genitori migliori sono quelli che non hanno figli, come gli allenatori migliori sono quelli del lunedì al bar. I politici migliori guidano i taxi e il calciatore migliore è quello che non ha potuto farlo perché è stato operato al menisco da giovane»;
- anche mio nonno non voleva morire in ospedale, e penso mi abbia odiata molto quando ho cercato di convincerlo che il ricovero fosse la cosa migliore… poi si è spento velocemente e nervosamente, ma alla fine ce l’ha fatta a morire a casa sua, perché dall’ospedale ci hanno detto di portarlo via dato che non c’era più nulla da fare. È spirato alle 4.30 del mattino e uno degli ultimi ricordi che ho di lui è legato alla sua “vestizione” da morto: ogni familiare gli ha messo un indumento, io le calze, e la sola cosa che mi ha impressionato è stato il suo ciondolare come un burattino mentre lo tenevano seduto per infilargli la camicia, nuova.

lunedì 21 novembre 2011

Cretinomanzia

Addirittura ci sono dei giorni che affido le mie decisioni a dei giochetti. Tipo: se si apre l'ascensore entro cinque secondi, o se nel camminare pesto delle righe del marciapiede, se accendendo il cellulare ricevo un messaggio, allora la mia decisione dev'essere sì. Se non succede, è no. A volte invece in metropolitana o in treno o sull'autobus mi fisso su una persona, mi concentro e mi ripeto: «girati girati guardami guardami adesso e subito». Se si gira è sì.
Ma il colmo è che se la decisione non mi conviene, o non è quella che voglio veramente, penso che non vale e che era solo un preriscaldamento, e riprovo. Anche due o tre volte.

Ingoiando biscotti ridotti a poltiglia dal latte, come quando ero piccola e mia sorella maggiore me li sminuzzava in una pappetta (ma stavolta perché i miei denti sono friabili come pasta frolla e ieri me n’è caduto un altro riducendo la mia bocca a un ampio monovano con due finestre, balcone e soppalco, no perditempo) leggevo, e a  pagina 13 del libro d'esordio di Fabio Volo ho trovato queste parole che mi hanno colpita. Non so se quando lo finirò mi avrà colpito qualcos’altro e avrò voglia di leggere il suo ultimo libro, di quest'anno: penso di no, ma potrei avere la curiosità di scoprire come dieci lunghi anni siano intervenuti sullo stile dello scrittore.
Esco a fare due passi era nella mia libreria dal 2006, quando l'ho ricevuto in dono da una persona che avevo creduto cara, ma che alla fine si era palesata una immatura egoista di passaggio nella mia vita. Non l'ho mai aperto ma l'altro giorno, avevo bisogno di letture leggere, vista la pesantezza dell'aria che mi circonda ultimamente, e l'ho preso. Come al solito ho tolto la copertura molle della copertina rigida e ho iniziato. Fino ad ora risulta senza infamia e senza lode: un auto-epistolario con qualche spunto di riflessione.
I capoversi citati mi hanno fatto venire in mente come certe volte, spesso, mi sia accaduto di non avere il coraggio delle mie azioni e volerle a tutti i costi attribuire al caso, ed in particolare mi è venuta in mente una bustina sigillata, all'interno della quale era custodito uno stencil verde, che da piccola ho conservato come amuleto, datandola, perché mi ero fissata che, giacché Elena (che fino a quando avevo 15 anni ho imitato in tutto e per tutto... poi ho smesso) aveva fato una cosa analoga conservando una busta, contenente un amuleto, e datandola (il giorno della data sulla sua busta era lo stesso in cui uno o due anni dopo aveva incontrato l'uomo della sua vita) io non avrei potuto esimermi dal fare lo stesso e sperare, ogni anno in ottobre, che succedesse qualcosa di fantastico anche a me... ma, anno dopo anno, vedevo che a ottobre succedevano solo cose terribili! Dunque l'amuleto, che nel frattempo non trovavo più, e del quale avevo dimenticato perfino la data esatta, portava sfiga!!! Ma allora perché a lei il suo aveva portato fortuna??? A un certo punto non ci ho pensato più, ho visto che gioie e dolori potevano arrivare in qualunque momento dell'anno... e soprattutto, che l'uomo della vita di Elena, nel frattempo, si era rivelato un autentico pezzo... da museo: il museo degli orrori!
Se ritrovo la mia busta le do fuoco!

lunedì 14 novembre 2011

Negro, caliente y fuerte

Nero come certi pensieri, caldo come la Sicilia, forte come vorrei essere.
Dentro un buon caffè c’è tutto un mondo: lo versi, l’aroma sale, ti riempie le narici e le mani ti si riscaldano attorno alla tazzina.

Tramite un odore la mente può tornare indietro nel tempo, e anche se quello del caffè è un profumo quotidiano, certi giorni i canali della memoria sono più aperti del solito.
La ritualità del caffè è una delle buone abitudini che ho perso per strada, non è più sinonimo di pausa, né di chiacchiere, è solo uno start: inizio della mattina/inizio del pomeriggio.

Nel 2000 era il bip della macchinetta della scuola e la campanella della ricreazione; era un appuntamento pomeridiano fisso, tra il pranzo e i compiti, tra due case distanti dieci metri e pochi passi: «bimbi, zitti che io e mamma dobbiamo parlare!».
Nel 2002 era una droga utile per riuscire a studiare, nervosamente, fino alle due del mattino e svegliarsi il giorno dopo alle sei e un quarto.
Nel 2004 era un piacere da condividere ad ogni sorridente risveglio con uno degli individui che hanno cambiato la mia vita, i miei desideri, i miei limiti: my person, la ragazza del letto accanto, con la testa piena di sogni e di capelli, la maglietta di Addiopizzo e le scarpe da tennis, la ragazza di Neruda, forte e sincera, con la tv coperta da un telo rosso e la chitarra nell’armadio. La ragazza dei fiori e dei pistacchi, della pioggia.
Poi ci sono stati caffè lunghi, caffè bruciati, macchiati; il caffè di Delft (caro ed agognato), caffè con la coinquilina napoletana (ricetta di Ciccirinella), caffè col cioccolatino e l'ammazzacaffè, con T.M. tante domeniche dopo pranzo, nella Suadente... e una ricca gamma di caffè mancati.
Amo sempre il caffè, specialmente quando me lo prepara qualcun altro.
«Sì, grazie! Uno pieno: la vita è già così amara».

mercoledì 9 novembre 2011

Fuga a due voci

Cambio pannolini a bambini sotto i tre anni per 3.50 euro l'uno.
Ho una laurea, una specializzazione e un master internazionale in pianoforte.
Dispenso perle di saggezza su richiesta.
Ho una foresta di titoli artistici che non mi faranno insegnare nei conservatori.
Spiego, per soldi, mostre che non vedrò mai per mancanza di soldi.
Suono il pianoforte da dio ma per vivacchiare faccio i siti internet.
Ho imparato ma non posso insegnare.
Ho una foresta di titoli artistici che non mi faranno insegnare nelle scuole medie perché chi li deve valutare "conta" e non sa neanche contare.
Faccio volontariato a tradimento e involontariamente.
Anche se i miei ex allievi hanno vinto dei concorsi pianistici, quest’anno posso fare solo l'insegnante di sostegno perché ho una foresta di titoli artistici (ma nessuna competenza per fare l'insegnante di sostegno).
Ho fatto una bellissima lezione all'università che non mi ha portata da nessuna parte.
Vorrei un micio e uno Steinway.
Ho fatto una bellissima tesi che non mi porterà da nessuna parte.
Ho fatto una bellissima tesi che non mi porterà da nessuna parte.
Mi scrivo e mi leggo da sola.
Organizzo straordinari eventi gratuiti a mie spese per quattro gatti.
C'è voluta una raccomandazione per farmi scrivere articoli per una rivista specializzata, gratis.
Un sacco di gente mi dice "Sì, sì", ma io non "porto" voti.
Vorrei fare la commessa ma sono troppo laureata e troppo adulta.
Ho passato metà della vita a cercare di convincere gli altri che essere pianista è una professione e l'altra metà a cercare di convincermene.
Vorrei un armadio più grande con più vestiti, e qualche vizio da mantenere.
Da piccoli avevamo sogni grandi... poi sempre più piccoli, poi sempre più lontani dai sogni veri.
Non  vogliamo mettere su famiglia, ma vorremmo che questa fosse una libera scelta.
Abbiamo cambiato paese, città, stato, regione, stato, città...
Abbiamo lasciato il sorriso da qualche parte.

domenica 6 novembre 2011

Personaggi in cerca di buonumore (5/n)

Gino

Licia trovò una chitarra a buon prezzo e convinse i fratelli a prenderla insieme per regalarla al padre visto che da una vita sentivano racconti sulla sua giovanile passione per lo strumento.
Così, a Natale, un bel pacco che non entrava sotto l’albero senza destare sospetto, divenne l’oggetto di una caccia al tesoro organizzata durante la consueta apertura dei regali, destinata a condurre Gino fino al salotto dove, sul divano finto barocco, c’era il suo tanto agognato strumento musicale.
Quando Gino prese in mano la chitarra per la prima volta i suoi figli si resero subito conto che la strada verso la musica sarebbe stata lunga e tortuosa, e che i ricordi che egli aveva della sua velleità adolescenziale erano stati filtrati dalla grana finissima del tempo che era intervenuto a coltivare un ego musicale tutt’altro che verosimile, ma Licia, Elena e Federico rimasero ottimisti.
Dopo qualche tempo, coscienziosamente, Gino decise di prendere delle lezioni, ma dopo la seconda o la terza, si ritirò pensando che la sapienza fin lì acquisita, potesse essere sufficiente a farlo vivere di rendita per un po’…
Da lì, il repertorio ha subìto un incremento sostanzioso, ma le parole che il maestro di chitarra aveva proferito sin dalla prima lezione, sostenendo che col “giro di do” si possano accompagnare molte canzoni italiane degli anni ’60 e ’70 vennero interpretate malamente: mentre il maestro si riferiva chiaramente alle varie combinazioni che con gli accordi contenuti nel “giro di do” si possono avere, Gino, pensava di poter accordare ogni motivo (di ogni tempo e luogo) con la progressione fissa (sempre quella), ma con ritmi diversi!
Il risultato è comico, specialmente quando, dopo due anni di studio (che consiste nello strimpellare mattina e sera dei motivi che Gino sente nella sua testa così forte da impedirgli di sentire che non hanno nulla a che vedere col risultato strumentale), chiede al suo pubblico ristretto di parenti: - Riconosci questa canzone? – e la risposta è sempre un farfugliamento imbarazzato, un bofonchiato ni.
Perfino Alda non ha cuore di infrangere i sogni musicali del marito (il che è strano: per tutto il resto infrange, e come!). Gino è inspiegabilmente innamorato di sua moglie: si sono messi insieme alla fine degli anni ’60 ballando insieme ad alcuni matrimoni a cui erano stati invitati entrambi per caso. Lei aveva dimostrato una pudicizia infrangibile, e questo aveva convinto lui a sposare lei piuttosto che un’altra che gliel’avrebbe data con maggiore facilità.

sabato 5 novembre 2011

Si definisce "buco nero" una regione di spazio da cui nulla, nemmeno la luce, può sfuggire

Buchi: nei denti, nella memoria, vicino ai ganci del reggiseno, nella volontà, sul polso della camicia, nella cognizione, sull'orlo dei pataloni, tra le parole, nelle scarpe.
Lacune incolmabili nella conoscienza di cose di mia competenza.
Buchi che comportano mille difficoltà, dai quali entra aria, acqua; buchi da rammendare, da rattoppare, sia che si tratti di usura dei capi d'abbigliamento (o della lavatrice), sia che si tratti di dislessia.
Ci vuole un filo resistente e un punto invisibile. Ci vuole una colla forte ma leggera. Ci vuole cura, ma il buco, anche se richiuso, resta dov'è.
Io che le parole scritte le ho sempre trovate, anche quando c'era ben poco da dire, non riesco a capacitarmi di come le parole possano rappresentare un ostacolo tanto grande, un fardello. Io che non so attaccare un bottone, non posso fare suture precisissime, ma so usare la colla, e anche se di solito mi rimangono le dita appiccicate, vorrei correre il rischio utopico. Vorrei.
IERI, a casa di Mary, facevamo colazione con pancake allo sciroppo d'acero e caffé americano, dopo aver dormito tra lenzuola confezionate in fabbrica (le mie erano cucite a mano), e giocato con barbie originali e figurine che se le grattavi sprigionavano un odore dolcemente artificiale.
Era bello!
Mangiavo a casa della nonna materna: pasta e patate a pranzo, panino col prosciutto a cena. Per farmi mangiare volentieri lei mi diceva che nella pasta aveva messo aromi magici, e che il panino era speciale e le era costato un milione!
Mangiavo dai nonni paterni, degli intingoli proteinici schifosi che cucinavo io per loro: a loro piacevano :)
Mangiavo ovunque, tranne che a casa mia dove si disperavano tutti per la mia mancanza di appetito.
OGGI: parecchi buchi nella parentela. Tagli nella vita, buchi nella ragione. Buchi nelle ragioni, nei jeans anni '80.

venerdì 4 novembre 2011

Qualcuno ci fermi!

tu sei testardo.
tu sei razionale (quando non sei del tutto irrazionale).
tu quando decidi sei deciso.
tu sei duro.
tu sei stanco.
tu hai ragione.

la nostra intenzione era costruire, arrivare da qualche parte - per me qualunque parte - ma arrivare. invece siamo qui a fare qualcosa che non vogliamo fare per ammazzare un tempo che non vorremmo avere e per avere l'impressione di far qualcosa...
non ti ho mai fermato, e non voglio farlo stavolta fermando me stessa. quindi se non ci fermano gli eventi, la svolta è necessaria.
lo sai che mi convinceresti anche a lanciarmi nel vuoto, nonostante la mia pigrizia e il mio terrore, quindi se vuoi che lasciamo tutto (tutti) e andiamo, vado a riempire i bauli:

coraggio, valeriana, luce in fondo al tunnel, webcam, intraprendenza, stanza per gli ospiti, forza, scarpe da ginnastica, ottimismo, ottimo inglese, idee, erbe aromatiche, orari fusi, farina di grano duro, amelia (che aveva capito tutto già tre anni fa), documenti, voci, moka, fazzolettini, bandiera bianca da sventolare per salutare, per la resa...

italia, dov'è la vittoria? alle porte: i tuoi figli a cui hai reso la vita impossibile ti ascoltano e se ne vanno.

lunedì 31 ottobre 2011

Repetita juvant: poveri piccoli fratelli d'Italia

Due anni fa il Ministro Brunetta si esibiva in questo show:


E io scrivevo:

L’Italia è un paese in cui per far conoscere, capire (?), canticchiare, l’inno nazionale, con esso si deve musicare la pubblicità delle calze; dove l’Opera per essere intesa (?) deve essere impartita mediante “Amici di Maria De Filippi”; in cui per far conoscere (?), capire (?), amare (?) la musica classica, devono propinarci Allevi! Ora, come ad un bambino di due anni si simulano le movenze e i rumori dell’aeroplanino per fargli ingurgitare la pappa che non vuole (e il cucchiaio non è certo un aeroplano), così, i poveri piccoli fratelli d’Italia credono che la musica di Allevi sia “classica”, che lui sia un genio, e così ascoltandolo si sentono tanto colti. [...]
Questa è l’Italia che NON SA NIENTE, l’Italia dei tagli alla cultura, l’Italia in cui un ministro parla di Mozart e Vivaldi solo perché ne conosce vagamente il nome e dice ai musicisti di andare a lavorare: a loro, le cui ore di studio giornaliere non hanno nulla a che vedere col loro part-time strapagato, l’Italia che pensa che sulla cultura si possa risparmiare ma non risparmia parole inutili [...]
E poi non si capisce per quale ragione i politici (come Brunetta, appunto, che si era candidato come sindaco di Venezia, pur volendo continuare a fare il ministro) possono accumulare le loro carriere e gli orchestrali non possono fare il doppio lavoro, considerando [...] che per ovvie ragioni, in tal caso, devono dimostrare di essere all'altezza di sopportare un carico che evidentemente chi ci governa sconosce?
[...]

Oggi, se è possibile, va pure peggio, ce lo spiega Emanuele Arciuli su un bellissimo post nel blog del giornaledellamusica.it, a cui mi sento di aggiungere soltanto, ripetendomi, che nessuno ha veramente idea - NESSUNO - di cosa significhi vivere, studiare, lavorare da musicisti, dei sacrifici, delle rinunce, dell’amore per quello che si fa: né voi pupazzi pieni di soldi, né il popolo, che non sa chi è Verdi, ma da qualche giorno conosce Violetta.

domenica 30 ottobre 2011

Chi ha tempo, non aspetti tempo

Spesso qualche goccia si staglia tra le altre, controvento.
C’è una pioggia fitta e obliqua fuori dalla mia finestra senza tenda, con gocce anticonformiste.
Il cielo scuro è un telo pesante che lascia vedere l’azzurro tra i palazzi, all’estremità del suo lembo.

Questa storia, pur così semplice, dell’orario vecchio/nuovo mi confonde da quasi trent’anni.
Non ho spostato l’orologio… il mio telefono a mala pena telefona, figuriamoci se cambia orario da solo. Il mio amore dorme al buio e all’oscuro.
Anche se fino a dieci minuti fa pensavo di essere in ritardo, ora so di essere in anticipo.
Strano. Inconsapevolmente in anticipo: mai prima d'ora. Inconsapevolmente in ritardo un mucchio di volte. In ritardo per capire, in ritardo per studiare, in ritardo per lavorare.
Ho tre quarti d’ora in regalo prima di girare le lancette col dito, prima di rimettermi sul tapis roulant.
L’ora legale è un’illusione, una delle tante, un modo come un altro per far quadrare i conti. È come l’anno bisestile: i flussi non si possono fermare, quindi si trova il modo di canalizzarli, diminuire la loro potenza, controllarli. Si fanno delle raccolte di tempo da tirar fuori all'occorrenza. Così con le parole.
Ma cosa sono 45 – ora 35 – minuti di fronte all’eternità? Ho perso talmente tanto tempo nella mia vita, soprattutto a lamentarmi...

(risata isterica fuori campo)

venerdì 28 ottobre 2011

"Servo Vostro" ovvero "ciao" (non è difficile!)

Questa è la definizione che il Sabatini Coletti dà di “saluto”:

saluto
[sa-lù-to] s.m.

1 Parola o gesto d'affetto, simpatia o rispetto, spesso di carattere formale, rivolti a una persona quando la si incontra o ci si accomiata: rivolgere, rendere il s. || togliere il s., evitare anche il minimo rapporto con qlcu., per inimicizia, rancore o disprezzo | s. militare, atto convenzionale consistente nel portare la mano destra tesa alla fronte 
2 Manifestazione di buona accoglienza o di rispetto, espressa con parole di circostanza in cerimonie ufficiali SIN omaggio: l'estremo s. ai caduti
3 (spec. pl.) Formula di cortesia usata soprattutto in cartoline e in chiusura di lettere: cari, cordiali, distinti s. || tanti s.!, nel l. fam., espressione usata per porre termine a un dialogo, per congedare qlcu. in fretta; in senso fig., pazienza, poco male: la partita è perduta e tanti s.
sec. XIII

Io aggiungerei: «Antico, normale e naturale atto di  reciproca e gratuita educazione, che non implica estenuanti fatiche né per chi lo dà, né per chi lo riceve, e che, per qualche assurda ragione, si sente il bisogno di celebrare».
Domani finisce La settimana del saluto:

Sette giorni per rieducarci all’arte del saluto. Per ricominciare a dire “ciao” o ”buongiorno”, “buonasera”, “arrivederci”. Magari con un sorriso. Nelle parole del sociologo Ilvo Diamanti “un saluto serve a stabilire una relazione. Un legame. Nulla di vincolante. Ma la persona con cui hai ‘scambiato’ il saluto – dopo – non è più un ‘altro’. Diventa un ‘prossimo’. Un cenno di saluto serve, dunque, a tracciare un perimetro dentro il quale ti senti maggiormente a tuo agio”.
Eppure in città i saluti si fanno sempre più rari. Anche per chi abita in maniera stabile la nostra quotidianità: dai compagni di autobus a quelli di scuola, dai colleghi di lavoro alle persone che incontriamo abitualmente per strada, dai vicini di casa al giornalaio, dai commessi dei negozi agli impiegati degli sportelli. E così ci troviamo ad attraversare la città in un isolamento che si apre raramente.
Per questo torna con la seconda edizione “la settimana del saluto” per ricordare a tutti che “il saluto è salutare”. E per riflettere sul valore della gentilezza come regola elementare del vivere civile, una strada per rendere la vita più leggera. Per una settimana, e per tutto l’anno.



Due reazioni mi scatenano le varie settimane (del saluto, del sorriso, dell'educazione, della gentilezza, del grazie, del prego...), una di stupore: «Ma stiamo scherzando? C'è bisogno di una settimana eletta per fare delle cose così ovvie???» e una di amarezza: «Evidentemente sì». Purtroppo!

giovedì 27 ottobre 2011

Viva viva gli scienziati!

L'inverno è arrivato: me lo dicono l'odore d'umido nel mio bagno, lo scurirsi delle macchie sul soffitto, il pacco ordinario di frutti straordinari, i dolori alle ossa, le unghie viola (non di smalto), i piedi di ghiaccio sotto le coperte, il basilico agonizzante sul davanzale, la vestaglia blu, il tic dello scaldino, le zuppe, le ventate di calore sprecato che escono dai negozi ad altissima temperatura e bassissimo rispetto per l'ambiente, la folla di ombrelli impertinenti che impediscono al mio di arrivare in fretta alla stazione DOVE mi accoglie Anna Tatangelo (preferisco il frastuono del treno in transito sul binario 1) su Radio FS News, PRIMA di prendere il regionale su cui mi aspetta quell'attimo di ansia da "dove ho messo il biglietto?" (anche se so di averlo) quando vedo far capolino il controllore, MENTRE guardo gente che occupa 2/3 posti con un unico biglietto ed è infastidita da chi vorrebbe sedersi al posto di borsa-giacca-giornale, QUANDO mi metto a leggere il solito libro scritto dal solito uomo di scienza che - senza le paranoie che, per il solo fatto di aver studiato ...-ica, ...-gia, ...-ia, Storia d…, etc., ci si fa da letterati - scrive meglio di un letterato, e uso il ritrovato biglietto come segnalibro.

martedì 25 ottobre 2011

Personaggi in cerca di buonumore (4/n)

Francesco
03/10/1916 ~ 25/10/2004

Era un uomo semplice e umile, con tutto ciò che di positivo implicano queste qualità.
Era un contadino che ha lavorato tutta la vita con amore per la terra e i suoi frutti, con rispetto per la natura e tutti gli esseri che ne fanno parte, dai più umili a quello che si pregia di essere l’essere superiore.
Un’esistenza difficile vissuta tra stenti e gioie d’altri tempi, ricordi in bianco e nero di campi dorati, di giorni in cui ci s’inventava lavori nuovi per tirare avanti, comprare un vestito buono che non fosse per tutta la vita come il matrimonio, che non fosse quello del matrimonio; quando il lavoro era sacro, e anche il mulo che dormiva con gli uomini; quand’erano altri i “concetti” di festa, fame, amore, lavoro, pane, sacrificio.
Ha amato e rispettato il suo prossimo, e chiunque l’ha conosciuto può dire di conservare un bel ricordo di lui, che è stato: disponibile, sensibile, altruista, generoso senza pretese di contraccambio, vegano quando non era ancora un'utile moda esserlo, spiritoso finché la sofferenza gliel’ha permesso.
Se n’è andato lasciando due tipi di vuoto: il vuoto che lascia ognuno morendo, e un vuoto generazionale incolmabile, perché non potendoci più essere condizioni di vita come le sue, non ci saranno più vite come la sua, e neanche i figli sapranno assomigliare ai loro genitori, così i nostri figli non saranno fortunati come lo siamo stati noi.
La sua “filosofia” antica eppure tanto moderna, le sue espressioni, e i suoi modi di dire resteranno sempre nei cuori della sua famiglia, che gli sopravvive con la certezza che le sue sofferenze siano cessate e che sia in pace in un qualche nirvana che somigli a Pantelleria.

lunedì 24 ottobre 2011

Personaggi in cerca di buonumore (3/n)

L’uomo senza qualità

L’uomo senza qualità ha moglie e figli, ma la famiglia non fa la felicità, i soldi e la "figa" sì; ha il profilo su Facebook e ha cambiato immagine del profilo (ne ha messa una dove si nota la croce sul petto depilato e sbottonato), s’è autoritratto a casa, con la web-cam, di sera con la luce accesa e gli occhiali da sole.
L’uomo senza qualità è ciò che a Napoli chiamano “sfaccimm”.
Ha più di quarantanni e tante amiche a cui piace questo elemento: il ricco imprenditore ignorante, la bella casa, il macchinone, la patta dei pantaloni sempre aperta, l’uomo che non paga le tasse e preferisce evaderle, e chi le paga «povero fesso»! L’uomo più furbo, che si sente bello e bono, e sotto le lenti da sole firmate guarda le femmine, che lo riguardano, mentre serpeggia lento col suo bolide, l’uomo che non fa la raccolta differenziata perché è una perdita di tempo, e non mette a regola gli albanesi che lavorano per lui perché «hanno un lavoro, che vogliono di più»? L’uomo che lavora, e che non viene sfiorato dal problema del precariato «chi gliel’ha comandato di laurearsi? Tutti questi insegnanti a che servono»? Lui ne aveva avuto uno, «pure troppo»!

domenica 23 ottobre 2011

Se una notte d'inverno un blogger

Ignoto Lettore, che ti trovi qui perché hai cliccato all'impazzata su Blog successivo>> sperando di trovare ciò che fa al caso tuo e, dopo esserti imbattuto in mille blog che funzionano come album-diari di famiglie di cui a te non frega assolutamente niente (o forse sì), spinto dalla curiosità, sei arrivato a questo post:


A te, ignoto Lettore, devo delle spiegazioni: voglio dirti che non vedrai foto e video di pargoli, e di tramonti, che non ti farò confidenze - nella fattispecie di cuttigghiu o gossip - (non siamo amici), perché non è questo il mio scopo, perché non c'è uno scopo... scrivo qui perché altrimenti scriverei altrove, così, brevemente, come ho sempre fatto, che qualcuno legga o no. Scrivo qui perché ho del materiale mio e altrui. Se vuoi, torna a trovarmi (mi piace ricevere gente: sono un tipo ospitale) altrimenti... Blog successivo>>

sabato 22 ottobre 2011

Personaggi in cerca di buonumore (2/n)

Carmelina

Carmelina ci mette cinque minuti a fare la sua firma e tre quarti d’ora a salire fino al primo piano della sua vicina. Misura un metro cubo e pesa un quintale. Ha vissuto una vita molto faticosa sin dalla tenera età quando, figlia maggiore di quattro, di cui uno solo maschio, era usata dalla madre come uomo di fatica, senza avere da lei nessuna gratificazione, ma solo tirate di capelli ad ogni errore. Mai un regalo, neanche su richiesta, neanche quando le spettava.
La madre, stronza, pensava a dare ordini, acquistare gingilli e uscire, Carmelina, andava a prendere l’acqua per tutta la famiglia con le quartare, a mietere e pesare, a raccogliere le olive, faceva il pane per tutta la famiglia… poi, quindicenne, decise di aspettare il cugino di tredici anni più grande, che tornasse dalla Tripolitania, per sposarselo. Così a sedici anni si maritò con Francesco, un gran bel ragazzo mediterraneo di ventinove anni che l’aveva vista nascere. Dopo tre anni venne alla luce Alda, e appena si resero conto dell’irrequietezza della figlia, decisero di non darle fratelli. E meno male! Litigiosa com’è avrebbe senz’altro rotto i rapporti con tutti gli altri figli (solo con Gino è andata d’accordo per quarant’anni, perché lui riesce a sopportarla e contiene tutta la rabbia che lei gli scatena, dentro, fino all’infarto)!
Carmelina è rimasta vedova sette anni fa, ha tre nipoti: due femmine e un maschio. Per  loro ha preparato, nottetempo, una dote full optional che va dalle lenzuola ricamate a mano alla carta igienica, dal sapone per i piatti ai bavaglini per due/tre generazioni, ha fatto chilometri di maglia e dice una parolaccia al minuto. Dice di non sapere niente di nessuno, ma ha più fonti lei che il New York Times. Dei suoi nipoti, il maggiore fa l’impiegato (ha il posto fisso!) e vive con la moglie da più di dieci anni nella Suadente, la media vive dov’è nata, nell’Insufficiente, e ha due figli già grandi (s'è sistemata), la piccola convive col suo storico ragazzo (svergognatissima) nella Ridente e non ha un lavoro (svergognata e sfaticata)!