lunedì 14 novembre 2011

Negro, caliente y fuerte

Nero come certi pensieri, caldo come la Sicilia, forte come vorrei essere.
Dentro un buon caffè c’è tutto un mondo: lo versi, l’aroma sale, ti riempie le narici e le mani ti si riscaldano attorno alla tazzina.

Tramite un odore la mente può tornare indietro nel tempo, e anche se quello del caffè è un profumo quotidiano, certi giorni i canali della memoria sono più aperti del solito.
La ritualità del caffè è una delle buone abitudini che ho perso per strada, non è più sinonimo di pausa, né di chiacchiere, è solo uno start: inizio della mattina/inizio del pomeriggio.

Nel 2000 era il bip della macchinetta della scuola e la campanella della ricreazione; era un appuntamento pomeridiano fisso, tra il pranzo e i compiti, tra due case distanti dieci metri e pochi passi: «bimbi, zitti che io e mamma dobbiamo parlare!».
Nel 2002 era una droga utile per riuscire a studiare, nervosamente, fino alle due del mattino e svegliarsi il giorno dopo alle sei e un quarto.
Nel 2004 era un piacere da condividere ad ogni sorridente risveglio con uno degli individui che hanno cambiato la mia vita, i miei desideri, i miei limiti: my person, la ragazza del letto accanto, con la testa piena di sogni e di capelli, la maglietta di Addiopizzo e le scarpe da tennis, la ragazza di Neruda, forte e sincera, con la tv coperta da un telo rosso e la chitarra nell’armadio. La ragazza dei fiori e dei pistacchi, della pioggia.
Poi ci sono stati caffè lunghi, caffè bruciati, macchiati; il caffè di Delft (caro ed agognato), caffè con la coinquilina napoletana (ricetta di Ciccirinella), caffè col cioccolatino e l'ammazzacaffè, con T.M. tante domeniche dopo pranzo, nella Suadente... e una ricca gamma di caffè mancati.
Amo sempre il caffè, specialmente quando me lo prepara qualcun altro.
«Sì, grazie! Uno pieno: la vita è già così amara».

Nessun commento:

Posta un commento