lunedì 31 ottobre 2011

Repetita juvant: poveri piccoli fratelli d'Italia

Due anni fa il Ministro Brunetta si esibiva in questo show:


E io scrivevo:

L’Italia è un paese in cui per far conoscere, capire (?), canticchiare, l’inno nazionale, con esso si deve musicare la pubblicità delle calze; dove l’Opera per essere intesa (?) deve essere impartita mediante “Amici di Maria De Filippi”; in cui per far conoscere (?), capire (?), amare (?) la musica classica, devono propinarci Allevi! Ora, come ad un bambino di due anni si simulano le movenze e i rumori dell’aeroplanino per fargli ingurgitare la pappa che non vuole (e il cucchiaio non è certo un aeroplano), così, i poveri piccoli fratelli d’Italia credono che la musica di Allevi sia “classica”, che lui sia un genio, e così ascoltandolo si sentono tanto colti. [...]
Questa è l’Italia che NON SA NIENTE, l’Italia dei tagli alla cultura, l’Italia in cui un ministro parla di Mozart e Vivaldi solo perché ne conosce vagamente il nome e dice ai musicisti di andare a lavorare: a loro, le cui ore di studio giornaliere non hanno nulla a che vedere col loro part-time strapagato, l’Italia che pensa che sulla cultura si possa risparmiare ma non risparmia parole inutili [...]
E poi non si capisce per quale ragione i politici (come Brunetta, appunto, che si era candidato come sindaco di Venezia, pur volendo continuare a fare il ministro) possono accumulare le loro carriere e gli orchestrali non possono fare il doppio lavoro, considerando [...] che per ovvie ragioni, in tal caso, devono dimostrare di essere all'altezza di sopportare un carico che evidentemente chi ci governa sconosce?
[...]

Oggi, se è possibile, va pure peggio, ce lo spiega Emanuele Arciuli su un bellissimo post nel blog del giornaledellamusica.it, a cui mi sento di aggiungere soltanto, ripetendomi, che nessuno ha veramente idea - NESSUNO - di cosa significhi vivere, studiare, lavorare da musicisti, dei sacrifici, delle rinunce, dell’amore per quello che si fa: né voi pupazzi pieni di soldi, né il popolo, che non sa chi è Verdi, ma da qualche giorno conosce Violetta.

domenica 30 ottobre 2011

Chi ha tempo, non aspetti tempo

Spesso qualche goccia si staglia tra le altre, controvento.
C’è una pioggia fitta e obliqua fuori dalla mia finestra senza tenda, con gocce anticonformiste.
Il cielo scuro è un telo pesante che lascia vedere l’azzurro tra i palazzi, all’estremità del suo lembo.

Questa storia, pur così semplice, dell’orario vecchio/nuovo mi confonde da quasi trent’anni.
Non ho spostato l’orologio… il mio telefono a mala pena telefona, figuriamoci se cambia orario da solo. Il mio amore dorme al buio e all’oscuro.
Anche se fino a dieci minuti fa pensavo di essere in ritardo, ora so di essere in anticipo.
Strano. Inconsapevolmente in anticipo: mai prima d'ora. Inconsapevolmente in ritardo un mucchio di volte. In ritardo per capire, in ritardo per studiare, in ritardo per lavorare.
Ho tre quarti d’ora in regalo prima di girare le lancette col dito, prima di rimettermi sul tapis roulant.
L’ora legale è un’illusione, una delle tante, un modo come un altro per far quadrare i conti. È come l’anno bisestile: i flussi non si possono fermare, quindi si trova il modo di canalizzarli, diminuire la loro potenza, controllarli. Si fanno delle raccolte di tempo da tirar fuori all'occorrenza. Così con le parole.
Ma cosa sono 45 – ora 35 – minuti di fronte all’eternità? Ho perso talmente tanto tempo nella mia vita, soprattutto a lamentarmi...

(risata isterica fuori campo)

venerdì 28 ottobre 2011

"Servo Vostro" ovvero "ciao" (non è difficile!)

Questa è la definizione che il Sabatini Coletti dà di “saluto”:

saluto
[sa-lù-to] s.m.

1 Parola o gesto d'affetto, simpatia o rispetto, spesso di carattere formale, rivolti a una persona quando la si incontra o ci si accomiata: rivolgere, rendere il s. || togliere il s., evitare anche il minimo rapporto con qlcu., per inimicizia, rancore o disprezzo | s. militare, atto convenzionale consistente nel portare la mano destra tesa alla fronte 
2 Manifestazione di buona accoglienza o di rispetto, espressa con parole di circostanza in cerimonie ufficiali SIN omaggio: l'estremo s. ai caduti
3 (spec. pl.) Formula di cortesia usata soprattutto in cartoline e in chiusura di lettere: cari, cordiali, distinti s. || tanti s.!, nel l. fam., espressione usata per porre termine a un dialogo, per congedare qlcu. in fretta; in senso fig., pazienza, poco male: la partita è perduta e tanti s.
sec. XIII

Io aggiungerei: «Antico, normale e naturale atto di  reciproca e gratuita educazione, che non implica estenuanti fatiche né per chi lo dà, né per chi lo riceve, e che, per qualche assurda ragione, si sente il bisogno di celebrare».
Domani finisce La settimana del saluto:

Sette giorni per rieducarci all’arte del saluto. Per ricominciare a dire “ciao” o ”buongiorno”, “buonasera”, “arrivederci”. Magari con un sorriso. Nelle parole del sociologo Ilvo Diamanti “un saluto serve a stabilire una relazione. Un legame. Nulla di vincolante. Ma la persona con cui hai ‘scambiato’ il saluto – dopo – non è più un ‘altro’. Diventa un ‘prossimo’. Un cenno di saluto serve, dunque, a tracciare un perimetro dentro il quale ti senti maggiormente a tuo agio”.
Eppure in città i saluti si fanno sempre più rari. Anche per chi abita in maniera stabile la nostra quotidianità: dai compagni di autobus a quelli di scuola, dai colleghi di lavoro alle persone che incontriamo abitualmente per strada, dai vicini di casa al giornalaio, dai commessi dei negozi agli impiegati degli sportelli. E così ci troviamo ad attraversare la città in un isolamento che si apre raramente.
Per questo torna con la seconda edizione “la settimana del saluto” per ricordare a tutti che “il saluto è salutare”. E per riflettere sul valore della gentilezza come regola elementare del vivere civile, una strada per rendere la vita più leggera. Per una settimana, e per tutto l’anno.



Due reazioni mi scatenano le varie settimane (del saluto, del sorriso, dell'educazione, della gentilezza, del grazie, del prego...), una di stupore: «Ma stiamo scherzando? C'è bisogno di una settimana eletta per fare delle cose così ovvie???» e una di amarezza: «Evidentemente sì». Purtroppo!

giovedì 27 ottobre 2011

Viva viva gli scienziati!

L'inverno è arrivato: me lo dicono l'odore d'umido nel mio bagno, lo scurirsi delle macchie sul soffitto, il pacco ordinario di frutti straordinari, i dolori alle ossa, le unghie viola (non di smalto), i piedi di ghiaccio sotto le coperte, il basilico agonizzante sul davanzale, la vestaglia blu, il tic dello scaldino, le zuppe, le ventate di calore sprecato che escono dai negozi ad altissima temperatura e bassissimo rispetto per l'ambiente, la folla di ombrelli impertinenti che impediscono al mio di arrivare in fretta alla stazione DOVE mi accoglie Anna Tatangelo (preferisco il frastuono del treno in transito sul binario 1) su Radio FS News, PRIMA di prendere il regionale su cui mi aspetta quell'attimo di ansia da "dove ho messo il biglietto?" (anche se so di averlo) quando vedo far capolino il controllore, MENTRE guardo gente che occupa 2/3 posti con un unico biglietto ed è infastidita da chi vorrebbe sedersi al posto di borsa-giacca-giornale, QUANDO mi metto a leggere il solito libro scritto dal solito uomo di scienza che - senza le paranoie che, per il solo fatto di aver studiato ...-ica, ...-gia, ...-ia, Storia d…, etc., ci si fa da letterati - scrive meglio di un letterato, e uso il ritrovato biglietto come segnalibro.

martedì 25 ottobre 2011

Personaggi in cerca di buonumore (4/n)

Francesco
03/10/1916 ~ 25/10/2004

Era un uomo semplice e umile, con tutto ciò che di positivo implicano queste qualità.
Era un contadino che ha lavorato tutta la vita con amore per la terra e i suoi frutti, con rispetto per la natura e tutti gli esseri che ne fanno parte, dai più umili a quello che si pregia di essere l’essere superiore.
Un’esistenza difficile vissuta tra stenti e gioie d’altri tempi, ricordi in bianco e nero di campi dorati, di giorni in cui ci s’inventava lavori nuovi per tirare avanti, comprare un vestito buono che non fosse per tutta la vita come il matrimonio, che non fosse quello del matrimonio; quando il lavoro era sacro, e anche il mulo che dormiva con gli uomini; quand’erano altri i “concetti” di festa, fame, amore, lavoro, pane, sacrificio.
Ha amato e rispettato il suo prossimo, e chiunque l’ha conosciuto può dire di conservare un bel ricordo di lui, che è stato: disponibile, sensibile, altruista, generoso senza pretese di contraccambio, vegano quando non era ancora un'utile moda esserlo, spiritoso finché la sofferenza gliel’ha permesso.
Se n’è andato lasciando due tipi di vuoto: il vuoto che lascia ognuno morendo, e un vuoto generazionale incolmabile, perché non potendoci più essere condizioni di vita come le sue, non ci saranno più vite come la sua, e neanche i figli sapranno assomigliare ai loro genitori, così i nostri figli non saranno fortunati come lo siamo stati noi.
La sua “filosofia” antica eppure tanto moderna, le sue espressioni, e i suoi modi di dire resteranno sempre nei cuori della sua famiglia, che gli sopravvive con la certezza che le sue sofferenze siano cessate e che sia in pace in un qualche nirvana che somigli a Pantelleria.

lunedì 24 ottobre 2011

Personaggi in cerca di buonumore (3/n)

L’uomo senza qualità

L’uomo senza qualità ha moglie e figli, ma la famiglia non fa la felicità, i soldi e la "figa" sì; ha il profilo su Facebook e ha cambiato immagine del profilo (ne ha messa una dove si nota la croce sul petto depilato e sbottonato), s’è autoritratto a casa, con la web-cam, di sera con la luce accesa e gli occhiali da sole.
L’uomo senza qualità è ciò che a Napoli chiamano “sfaccimm”.
Ha più di quarantanni e tante amiche a cui piace questo elemento: il ricco imprenditore ignorante, la bella casa, il macchinone, la patta dei pantaloni sempre aperta, l’uomo che non paga le tasse e preferisce evaderle, e chi le paga «povero fesso»! L’uomo più furbo, che si sente bello e bono, e sotto le lenti da sole firmate guarda le femmine, che lo riguardano, mentre serpeggia lento col suo bolide, l’uomo che non fa la raccolta differenziata perché è una perdita di tempo, e non mette a regola gli albanesi che lavorano per lui perché «hanno un lavoro, che vogliono di più»? L’uomo che lavora, e che non viene sfiorato dal problema del precariato «chi gliel’ha comandato di laurearsi? Tutti questi insegnanti a che servono»? Lui ne aveva avuto uno, «pure troppo»!

domenica 23 ottobre 2011

Se una notte d'inverno un blogger

Ignoto Lettore, che ti trovi qui perché hai cliccato all'impazzata su Blog successivo>> sperando di trovare ciò che fa al caso tuo e, dopo esserti imbattuto in mille blog che funzionano come album-diari di famiglie di cui a te non frega assolutamente niente (o forse sì), spinto dalla curiosità, sei arrivato a questo post:


A te, ignoto Lettore, devo delle spiegazioni: voglio dirti che non vedrai foto e video di pargoli, e di tramonti, che non ti farò confidenze - nella fattispecie di cuttigghiu o gossip - (non siamo amici), perché non è questo il mio scopo, perché non c'è uno scopo... scrivo qui perché altrimenti scriverei altrove, così, brevemente, come ho sempre fatto, che qualcuno legga o no. Scrivo qui perché ho del materiale mio e altrui. Se vuoi, torna a trovarmi (mi piace ricevere gente: sono un tipo ospitale) altrimenti... Blog successivo>>

sabato 22 ottobre 2011

Personaggi in cerca di buonumore (2/n)

Carmelina

Carmelina ci mette cinque minuti a fare la sua firma e tre quarti d’ora a salire fino al primo piano della sua vicina. Misura un metro cubo e pesa un quintale. Ha vissuto una vita molto faticosa sin dalla tenera età quando, figlia maggiore di quattro, di cui uno solo maschio, era usata dalla madre come uomo di fatica, senza avere da lei nessuna gratificazione, ma solo tirate di capelli ad ogni errore. Mai un regalo, neanche su richiesta, neanche quando le spettava.
La madre, stronza, pensava a dare ordini, acquistare gingilli e uscire, Carmelina, andava a prendere l’acqua per tutta la famiglia con le quartare, a mietere e pesare, a raccogliere le olive, faceva il pane per tutta la famiglia… poi, quindicenne, decise di aspettare il cugino di tredici anni più grande, che tornasse dalla Tripolitania, per sposarselo. Così a sedici anni si maritò con Francesco, un gran bel ragazzo mediterraneo di ventinove anni che l’aveva vista nascere. Dopo tre anni venne alla luce Alda, e appena si resero conto dell’irrequietezza della figlia, decisero di non darle fratelli. E meno male! Litigiosa com’è avrebbe senz’altro rotto i rapporti con tutti gli altri figli (solo con Gino è andata d’accordo per quarant’anni, perché lui riesce a sopportarla e contiene tutta la rabbia che lei gli scatena, dentro, fino all’infarto)!
Carmelina è rimasta vedova sette anni fa, ha tre nipoti: due femmine e un maschio. Per  loro ha preparato, nottetempo, una dote full optional che va dalle lenzuola ricamate a mano alla carta igienica, dal sapone per i piatti ai bavaglini per due/tre generazioni, ha fatto chilometri di maglia e dice una parolaccia al minuto. Dice di non sapere niente di nessuno, ma ha più fonti lei che il New York Times. Dei suoi nipoti, il maggiore fa l’impiegato (ha il posto fisso!) e vive con la moglie da più di dieci anni nella Suadente, la media vive dov’è nata, nell’Insufficiente, e ha due figli già grandi (s'è sistemata), la piccola convive col suo storico ragazzo (svergognatissima) nella Ridente e non ha un lavoro (svergognata e sfaticata)!

venerdì 21 ottobre 2011

Personaggi in cerca di buonumore (1/n)

Alda

Autunno: stagione di depressioni (così dicono)!
A Licia l'autunno piace, a Alda no, perché particolarmente in questa stagione i suoi sbalzi d'umore, le sue fissazioni, le sue paranoie, le sue ansie, il suo ammalarsi repentinamente di tutte le malattie che il suo vasto immaginario può contenere… aumentano, degenerano.
Lo zio ha avuto un infarto? Elettrocardiogramma prenotato. Il cugino ha avuto l'herpes? Lei si fa fare "gli scongiuri". Il nonno ha avuto l'ernia al disco, "radiografie venite a me"!
Da piccola Licia, la minore dei suoi figli, pensava che fosse inevitabile e ovvio AMMALARSI DI TUTTO in autunno, pensava di essere ammalata di depressione anche lei, e soprattutto – errore maggiore – credeva che fosse quella la depressione (!). A sue spese, da grande, scoprì che, se depressione c’era stata, era stata alimentata da un pessimo carattere, e da un livello intellettivo medio-basso.
Dalla sua nascita Alda ha sempre pensato di essere migliore degli altri, di avere più diritti e meno doveri. Figlia unica di Carmelina e Francesco, sembra sia rimasta l’unica perché sin da piccola ha manifestato un’indole insopportabile, portando troppo scompiglio in quella famiglia contadina, da cui non ha imparato né il sacrificio, né la pazienza.
Nonostante la “tristezza” dei tempi, Alda ha avuto un’infanzia e un’adolescenza felici, ma lei non lo sa: pensa che profumi e balocchi avrebbero dovuto appartenerle copiosi nonostante i suoi stessero mettendo da parte i soldi per farle subire in futuro il minor numero di privazioni possibile.
A 19 anni Alda è molto corteggiata, ai matrimoni e alle feste danzanti sono tanti i giovani che le chiedono di ballare, ma a lei piace Gino, il più bello, e l’unico motorizzato.
Sono passati più di quarant’anni e tre figli e Alda le ha avute sempre tutte vinte: Gino la tiene come una “madonna” e lei lamenta carenze affettive, che in autunno percepisce come incolmabili. Nel frattempo guarda “Violetta” trovando la storia bella e l’attrice brava, senza neanche immaginare quali siano i progenitori della fiction, ma facendo delle approfondite indagini sulla tisi, che non si sa mai!
Tuttavia a Licia l’autunno piace.

martedì 18 ottobre 2011

Lezione di sociologia: l'homo ridens

Scendendo le scale dei binari due/tre, ci si ritrova nel sottopassaggio e se si deve andare in centro, ci si dirige a sinistra: “Juri sei una tristezza di scorreggia”. Da questa frase spruzzata sul muro viene accolto il visitatore della Ridente.
Ci si addentra nella città, che per brevità da ora chiamerò R., e si incontrano giovani e ricche coppie provviste di prole, anziani in bicicletta identici tra loro (per le donne: gonne al ginocchio,  camicia e pullover, scarpe decoltè tacco quattro, occhiali dorati e capelli lisci e fini; per gli uomini polacchino scamosciato, pantaloni di fustagno e gilet trapuntato sulla camicia a scacchi; le nuances vanno dagli ocra, ai terra di Siena bruciata, a una vorticosa sequenza di marroni e verdi cupi), stranieri.
R. è una città a misura d’uomo, tranquilla di una tranquillità mortifera, pulita, civile, efficiente.
Il sorriso è stato bandito da una norma comunale già nel XVI secolo.
C’è una tanto curiosa quanto netta divisione tra ridentesi e extra-ridentesi. Queste due categorie non ammettono sotto-categorie: chi sceglie di essere ridentese, a prescindere dai propri natali, bimbo, giovane, vecchio che sia, deve prendere tutto il pacchetto, che prevede abbigliamento, acconciatura, atteggiamento e modi di dire.
Certo, per chi ridentese "lo nacque", è tutto molto più semplice e naturale, per chi invece viene da luoghi lontani da R. e vuole a tutti i costi far parte della sua società, il percorso è più tortuoso: molti riescono benissimo nell’impresa, altri, per quanto in pubblico si sforzino di non salutare, non sorridere, avere manie di grandezza, etc. nelle mura domestiche fanno cose che di ridentese hanno ben poco, addirittura non differenziano la spazzatura… In compenso ci sono extra-ridentesi di nome e di fatto (li si riconosce dall’allegria) che hanno un inspiegabilmente alto senso civico, e indigeni (pochini in verità) dotati di calore umano, filantropici, addirittura gentili, che non sono terrorizzati dal diverso da sé!
I due gruppi sono rette parallele che non si incontrano mai: pur mischiandosi nei luoghi pubblici, si guardano vivere come da un acquario.
Il visitatore occasionale non può notare i due mondi distinti, e se ne torna da dov'è venuto con l'impressione di aver passeggiato dentro una bomboniera, in un cantone staccato di una Svizzera senza birra né cioccolata.

lunedì 17 ottobre 2011

Siamo spiacenti, ma l'indirizzo di questo blog non è disponibile

- I promised that I will love you
- Even when you hate me!?
- Even when I hate you

La birra ghiacciata, la doccia bollente, spalmarsi sulle lenzuola che profumano di bucato, gli occhi canini del nonno, i viali alberati d’autunno, le illustrazioni del libro di lettura, i sabati pomeriggio sotto la finestra, lo sfrigolìo della padella, la pubblicità di zaini e diari a fine agosto, il temporale, buio pesto, terra secca, l'esplosione dei pomodorini crudi in bocca, i suoni aeroportuali, "lo stupore della notte spalancata", le chiamate internazionali dalla cabina, montagne di bugie, scuse su scuse, "no" mancati, l'attesa, i mesi di piombo, gli anni d'oro, la nostalgia futura del presente... 

Lo scriba recise la sua vena poetica e dopo qualche secondo ne uscì qualche goccia di liquido blu che riempì l'aria di un odore acre: il tempo che aveva trascorso a strisciare il mignolo destro sulla scrittura fresca avevano nutrito i suoi giorni fino ad avvelenarlo.
L'uomo d'inchiostro scriveva al computer ormai, ma la moltiplicazione dei pensieri, dei propositi, dei blog, lo condusse al gesto estremo.