martedì 28 febbraio 2012

Raccontino 3/n (Agosto 2007)

Ceramitaro

Alnord si studia, si lavora, si parla sottovoce sui bus urbani che arrivano puntualissimi, si fa tutto di fretta e si cena presto!
Al Ceramitaro si arrostisce sul carbone la salsiccia con pepe rosso, pepe nero, semi di finocchio e flemma, alle dieci di sera, tra gli ulivi e i limoni piantati sul terreno argilloso che un tempo serviva a fare i ceramiti, col pesco che perde un ramo l’anno, il pero carico e stanco, i ranati e i mulun’i sciauru.
Ricordi: urgono situazioni, musiche, odori che li suscitino.
Siamo tornati qua molte volte dopo gli “anni d’oro”, ma i miei flashback non erano mai stati vivi come oggi: a nulla era servito il tavolo in pietra che ha subìto passivamente tutti i nostri rumorosi convivi, e l’anno scorso anche l’urto del cofano dell’auto di mio padre; a nulla è servito il forno a legna, la stradina scoscesa, i bossoli colorati sparati da praticanti di uno sport ormai inutilmente stupido, l’agrumeto.
Quando si cercano, i ricordi, non si trovano mai, ma poco fa sono entrata in bagno, dove da tempo non entravo, e mi si è aperto un mondo di schizzi schiamazzi sghignazzi: dalla finestra si può toccare l’acqua della zena in cui mi sono sguazzata per anni, “estati d’oro”, appunto, quando l’età media era più bassa, il tasso di gioventù più alto, la pace estesa, l’Italia aveva da poco vinto i mondiali in Spagna.
Mi sono ricordata di mio nonno e suo fratello che passavano le notti a dormire sotto gli alberi: due lune luccicanti sotto la vera luna; di mia nonna che friggeva tutto; di mia sorella e Mery (nostra cugina, adolescente anche lei, che veniva qui, on holiday, dall’America) che ascoltavano gli Wham; di me unica bambina in quella casa “nuova”, costruita dopo il terremoto del ‘75, quando tra un pedi e l’altro avevano allestito una tendopoli, e al tramonto accendevano il lume.
Mi sono ricordata che mi piaceva un sacco stare qui, ascoltare i discorsi dei grandi, mangiare la pasta della pizza cruda; quando gli alberi mi sembravano alti e la “piscina” (questo era per me) profonda anche se c’era solo un metro d’acqua.
Anche qui è cambiato tutto, e il tempo non sembra affatto essersi fermato, neanche in aperta campagna, me ne rendo conto ora che sono seduta al tavolo di pietra con mia nonna, vestita di nero perché nonno è morto tre anni fa, e non racconta più di Pantelleria, né di mambrucchi tripolitani. Neanche il tavolo è più lo stesso, perché dopo la mia “carezza” è stato rifatto quasi del tutto, il grande albero di fico che lo sovrastava e su cui amavo arrampicarmi è stato abbattuto per costruire al suo posto la tettoia in poliuretano che ora ci tiene belli freschi, all’ombra e senza i continui splash dei fichi che cadono fatti. Da un paio d’anni hanno allacciato anche l’energia elettrica e quindi al tramonto non inizia più a sentirsi quel ronzio lontano del motore degli anni ’80, mentre il lume degli anni ’70 ha un posto di rilievo nella vetrinetta del soggiorno, quella delle cose “antiche”. Non ci sono più farfalle, saranno i diserbanti; una cosa è rimasta la stessa: le mosche che ti ronzano intorno e si posano sulla pelle, recidive, provocando, stronze, atti autolesionistici!
La Fiat Panda “young” qui di fianco è molto invecchiata, e se parte me ne torno a casa, devo ancora preparare la valigia, che non è di cartone ma è per ilnord: domani si “risale”, non con la freccia del sud, ma con un aereo low cost, sicuramente in ritardo.
Le vacanze sono finite…
I viaggi non finiscono mai, come gli esami, come i ricordi, come le mosche!

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