venerdì 24 febbraio 2012

Raccontino 1/n (Marzo 2007)

«Io non so come facevo a sopportarlo, col suo naso pieno di peli, le orecchie piene di peli, e l’alito, Dio solo sa cos’era il suo alito. E pensare che una volta mi sembrava profumo di viole misto a lamponi; e i peli però? Cosa mi sembravano?» 
Così doveva iniziare il racconto, con quest’incipit.
Sofia si ficcò in borsa il foglietto e salì sul sette. Trovato un posto, in fondo, controllò i telefonini (uno per ogni gestore) che aveva tenuto silenziosi durante il dibattito, e trovò cinque chiamate senza risposta: il raro squillo di Elia, i tre insistenti squilli di Mariella e la presunta chiamata di Marta, rispose a tutti e la Tim risquillò: -Dimmi Marta-. -Ciao Sofia, ti disturbo?-. -No, sono in autobus-. -È che volevo dirti che non ce la faccio più, va tutto storto, oggi ho fatto lo scritto di Matematica e sicuramente non è andato, e poi quello stronzo di Ernesto non mi scopa più! Ah ma io glielo dico, che se continua a mandarmi in bianco si becca le corna! All’inizio non era così, certo non è mai stato un porco, ma sono passati venti giorni dall’ultima volta, e a trent’anni non è possibile ridursi così…- e man mano che il sette da Bologna nord, si avvicinava a Bologna sud, il monologo continuava sullo stesso tono, con qualche breve intervento di Sofia che ormai sapeva a memoria tanto la fabula quanto l’intreccio, conosceva perfettamente il contenuto di ogni singolo sms, o biglietto che Marta aveva ricevuto da Ernesto negli ultimi due anni! Arrivata a casa Sofia spense i telefoni e svuotò la borsa sul tavolo. Rilesse il foglietto: «Io non so come facevo a sopportarlo, col suo naso pieno di peli, le orecchie piene di peli, e l’alito, Dio solo sa cos’era il suo alito. E pensare che una volta mi sembrava profumo di viole misto a lamponi; e il peli però? Cosa mi sembravano?» e pensò che poteva scrivere la storia di Marta, ma poi si ricordò che Ernesto non aveva i peli nelle orecchie e decise di andare a letto.
La mattina seguente, bevendo il caffè, Sofia pensava che quello era un incipit che poteva condurre sia al comico che al tragico, che si poteva prestare a tantissime storie, che qualcosa le sarebbe venuto in mente con la sua laurea in Lettere, e che cavolo! Si abbandonò a sogni di gloria, fece risalire la sua vocazione scrittoria alla notte dei tempi, decise che quella era la sua occasione per diventare l’eccezione alla regola: la scrittrice che seppe scrivere! Allora s’impose di non parlare d’amore, e si mise in attesa dell’ispirazione, ringraziando, in cuor suo, la sorella, che le aveva indicato quell’iniziativa.
Dopo qualche giorno, mentre badava a Riccardino, si mise a pensare a qualcuno che avesse lunghi peli nel naso e nelle orecchie, e le vennero in mente solo due persone: il professore di Filologia Italiana che entrava in aula con quel suo stuolo di discepoli che gli si sedevano intorno mentre lui prendeva posto sul trono, e il vecchio nonno, morto l’anno prima, di cancro. Per entrambe le storie ci sarebbe stato poco da ridere: abbozzando su un foglio quella di cui il docente poteva essere il protagonista annoiò se stessa, e per quanto riguarda il nonno… poteva risultare interessante un racconto sui nonni. Spense la tv per non far svegliare il bimbo, che nel frattempo s’era addormentato, e iniziò a scrivere:
«È ormai tempo in cui anche le ginestre sono estirpate.
Non fiori nel deserto, ma uomini e donne che hanno vissuto le due guerre sono ormai giunti alla fine dei loro anni, privandoci di racconti di vita che non si potranno più ripetere, più raccontare. Esistenze difficili vissute tra stenti e gioie d’altri tempi, ricordi in bianco e nero di campi dorati, di giorni in cui ci s’inventava lavori nuovi per tirare avanti, comprare un vestito buono che non fosse per tutta la vita come il matrimonio, che non fosse quello del matrimonio; quando il lavoro era sacro, e anche il mulo che dormiva con gli uomini; quand’erano altri i “concetti” di festa, di fame, di amore, di lavoro, di pane, di sacrificio.
Questa è la generazione dei nostri nonni che si stanno tutti spegnendo contenti di aver vissuto una vita tanto lunga e bella (altro “concetto” diverso dal nostro) lasciando un vuoto, non come il vuoto che lascia ognuno morendo, ma un vuoto generazionale incolmabile, perché non potendoci più essere condizioni di vita come quelle, non ci saranno più vite come quelle, né “concetti” come quelli, e neanche i loro figli sapranno assomigliare ai nonni che loro sono stati, così i nostri figli non saranno fortunati come lo siamo stati noi».
-Bello!- Si disse rileggendo, ma poi aggiunse: -si ma che c’entra coi peli e l’alito pesante?-
Certo che a criticare siamo tutti bravi! Le scrittrici non sanno scrivere altro che romanzetti rosa, e pure quando il discorso si fa serio, loro lì a spalmare miele anche sui morti in putrefazione. Questo era il pensiero di Sofia, e man mano che la sua biblioteca si ampliava, questo pensiero si faceva più forte. -Sì, ma te cos’hai scritto fin’ora, genio?-  
Il suo flusso di pensieri fu interrotto dall’arrivo della mamma di Riccardino che la pagò e la congedò con la sua solita vocina.
Tornando a casa a piedi si fermò davanti a una vetrina d’antiquariato, per vedere se c’erano quei dischi per Elia, ma la sua attenzione fu attirata da un paio di piccoli orecchini, e le venne in mente quella storia, che le aveva raccontato quella signora alla stazione, e che lei tornata a casa aveva appuntato su un blocchetto: «[…] Ma non c'erano solo i soldati americani che ballavano il boughi-boughi nel nostro casolare, c'era anche mio nipote che partiva per la Russia per non farne ritorno neanche in ossa. Aveva 21 anni e una fidanzatina che l'altro giorno, m'ha chiamata dicendomi che stava male, chiedendo se potevo andarci mentre suo marito aveva il turno all'ospedale, allora io, nel tragitto tra il cimitero e casa sua, pensavo che volesse chiedermi se avevo firmato quelle carte per il rientro in patria di quel che resta. Invece entrai e subito mi venne incontro con una scatolina: un paio di orecchini con due rondinelle: una reggeva col becco l'asso di cuori, l'altra il messaggio: "ritornerò". -Ma perché li dai a me - dissi comprendendo immediatamente che si trattava di un dono di lui, -Ada, Andrea è stato il mio primo amore!-
E giù il sipario, e giù lacrimoni.
La prossima volta che torna il tizio dell'agriturismo a chiedermi il casolare, gli sguinzaglio dietro i cani!»
È tutto chiaro: lo scrittore onnisciente ha fatto il suo tempo, come la terza persona singolare e il passato remoto, questo pensò Sofia e l’unica cosa che le venne in mente di scrivere, prima dello scadere del tredicesimo giorno fu un incipit: «Per anni ho inseguito l’ispirazione senza mai riuscire a prenderla… e meno male: se mi fossi imposta di portare a termine tutti gli incipit, o mettere a posto tutte le idee, chissà che porcherie ne sarebbero uscite. “Benedetta noia”!
Avrei potuto scrivere di una strana madre, di una compagna di classe cleptomane, di un musicista mezzo matto (cruci - duci), di una coinquilina lesbica, della Sicilia, dei siciliani…
La lunghezza mi frega, e con lei la troppa serietà e gli argomenti amorosi, quindi ora rifuggo da tutto ciò. Per non cadere nel patetico preferisco il frammento, e anche se Melissa è “meno peggio” di certa melassa, preferisco non scrivere d’amore: giacché non siamo più nell’Ottocento guanti e panciotto è meglio indossarli solo a carnevale (come il corsetto di pelle nera e il frustino). E poi a chi devo piacere? Alla “giuria di qualità”? O al lettore spassionato? Preferisco non scrivere!».  
La dodicesima notte, nell’e-mail senza oggetto indirizzata al concorso letterario scrisse: «Io non so come facevo a sopportarlo, col suo naso pieno di peli, le orecchie piene di peli, e l’alito, Dio solo sa cos’era il suo alito. E pensare che una volta mi sembrava profumo di viole misto a lamponi; e il peli però? Cosa mi sembravano?» e aggiunse «-La fantasia è un posto dove ci piove dentro-, disse colui che con l’arte dell’incipit costruì un libro intero, ma a Bologna, anche se piove, ci sono i portici!»

“Se una dodicesima notte d’inverno un non scrittore” in Scrivi con lo scrittore Terza edizione 2006-2007. A cura di E. BIANCIARDI. Giraldi Editore.

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