mercoledì 9 maggio 2018

Ferrantemania

La ragazza prodigio che verrà a suonare per AmiCaFest come special guest al Bellini parla correntemente sette lingue e l'anno prossimo intraprenderà contemporaneamente sia la carriera del DMA che quella del PhD, in altisonanti università americane... Pensavo, quando la dovrò presentare, bisognerà che trovi le parole giuste! Ad esempio, potrei dire che come nel libro di Menna si ipotizza come sarebbe stata la vita di Steve Jobs se fosse nato a Napoli, potrei dire che Clara (così si chiama la nostra amica geniale) è ciò che sarebbe stata Raffaella Cerullo se fosse nata a Philadelphia, da genitori non esattamente scarpari.

Ed eccoci arrivati al vero fulcro di questo post: la ferrantemania. Anche adesso che ho finalmente finito i quattro volumi della serie L'amica geniale, non riesco a spiegare bene che cosa c’è di speciale in essi. Non ci riesco ma posso ipotizzare cosa in loro attrae me.

1) Dopo anni, mi sono riavvicinata a un certo italiano solido e corposo che mi mancava tanto. Non c’è nella lingua della narratrice (che, non dimentichiamo, è una scrittrice) nessun cedimento, nessuna parola messa lì perché fa scena, perché fa cool, perché fa colto, perché fa scalpore, perché fa antico: solamente una scrittura naturale, senza sforzi, senza mania di grandezza, senza velleità sperimentali, ma una lingua che serve a raccontare una storia, LA storia, delle psicologie, delle sensazioni, degli appetiti, delle paturnie nel modo più efficace possibile. Una scrittura memore, lucida, mobile e profonda, non dialettale ma che mi fa sentire in testa le tonalità della mia amica Isabella mentre leggo.

2) Psicologie e memoria, dicevo. Anche io sono stata bambina in un mondo in cui studiare era giusto, studiare troppo da cretini, studiare "sempre" assurdo; ragazzina in un mondo cattolico a convenienza, dove si porge o si schiaffeggia l'altra guancia a seconda del momento. Tuttavia, io le avevo dimenticate certe sensazioni dell'infanzia, dell'adolescenza e persino dell’età adulta. Ma l’autrice no. Bisogna avere una monumentale combinazione di spirito di osservazione e facoltà di ricordare, conoscenza della psiche altrui e della propria, capacità di raccontare tutto questo per accedere all'animo umano e ai pertugi più reconditi del nostro essere stati, per riuscire nell'impresa in cui Elena Greco/Ferrante eccelle.

3) A proposito di patrimonio collettivo delle emozioni, sembra che qui ci troviamo di fronte a un repertorio comune che confluisce in una sorta di prototipo dell'amica universale. Lina e Lenu' insieme riassumono caratteristiche di amiche che ognuno di noi ha o è, ed è esattamente questo che ce le fa amare ed odiare contemporaneamente e spasmodicamente. Siamo tutte un po' stronze, un po' opportuniste, un po' troie, capaci di enorme generosità e tenerezza, in grado di buttarsi nel fuoco per gli altri e di buttarci gli altri. La loro relazione ci riassume: io sono un po’ Elena, mia sorella è un po' Lina, Nadia ha un po’ di entrambe, Dalia, Silvia…

Chi non l'ha mai letto, avendo solo queste parziali indicazioni potrebbe scambiarlo per un testo emozionale che parla di amiche, ben scritto, ma niente di più. Ebbene, no: è anche un compendio di storia contemporanea, delle ideologie, della camorra, uno studio sociologico, un manuale di linguistica, di pratica letteraria. Un'enciclopedia narrativa, o meglio: un romanzo di quattro tomi dal taglio enciclopedico.

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