- Io questi non li
capisco proprio.
Il senso
dell'educazione, il rispetto per gli altri, e anche quello per l'intorno, gli
accostamenti di sapore e colore... non puoi guardare ognuno con la tua
prospettiva perché altrimenti fai l'errore di chi giudica l'arte concettuale
con gli stessi metri con cui si giudica l'arte figurativa.
Poi un
pomeriggio, che non avevi neanche voglia di trascorrere con qualcuno, la tua
amica musulmana, che cucina tanto bene, che dal tuo punto di vista è conservatrice e integralista, che
ha una personalità molto forte, che fino ad ora ti ha raccontato che nella sua
vita lei ha scelto ogni cosa: di studiare, di non sposarsi, di venire in America,
e di condurre con vero piacere una vita assolutamente ligia ad ogni dovere che
il Corano dolcemente impone... questa tua amica ti canta una vecchia canzone egiziana, con gli occhi bassi,
e tu le dici che il modo in cui la sua voce è andata su e giù, producendo
suoni insoliti per un orecchio europeo, ti è piaciuto molto, e le
chiedi chi altro l'ha sentita cantare oltre te, e lei ti risponde:
- Nessuno.
Il mio amore.
Così inizia
un racconto triste, per quanto lei si sforzi di sdrammatizzare, una storia
letteraria, di cui lei e il suo amore sono protagonisti. Una storia che inizia
sei anni prima, in un reparto di un ospedale di una grossa città
araba, dove lei orgogliosamente lavora. Un ragazzo ha avuto un incidente che
gli ha causato grossi problemi di memoria, e il fratello minore lo accompagna
alle sedute con la psicoterapeuta: lei.
Mesi di incontri formali e sguardi, poi
le confessioni di reciproco amore e poi l'amara scoperta di appartenere a due
opposte fazioni religiose, interne all'Islam, ma comunque opposte. Da lì la
decisione di non vedersi, di evitarsi, perché laggiù non si scherza con queste
cose, non ci sono proteste femministe, non c'è primavera rivoluzionaria,
non c'è contro-idea, e non c'è nemmeno la "fuitina".
Passa del
tempo, ma i due proprio non ce la fanno stare lontani, ed ogni scusa è buona
per vedersi, nascosti da un ufficio, da una stanza d'ospedale, o dal favore che
solo le grandi città ti possono fare.
In tutto questo, lui - che è anche il
"capofamiglia" perché il padre ha contratto le consuete (almeno per i ricchi)
seconde nozze abbandonando la prima moglie, e il fratello non può neanche
badare a se stesso - è costretto a fidanzarsi, ma non ce la fa a stare con
qualcuno che non sia lei, così si rifiuta, finché può, ma poi il problema si
ripropone ancora e ancora, e a un certo punto il ragazzo arriva perfino a
retrocedere da un contratto matrimoniale che aveva già firmato. Nel frattempo
lei, che è colei su cui la sua intera famiglia ripone ogni tipo di aspettativa,
perché bella, intelligente, istruita e timorata di Dio, supplica la madre di
poter stare con l'uomo che ama, ma la madre le dice che il no che è
costretta a dirle non è nemmeno un suo no, ma è un no più grande e altisonante,
è il no sociale che tutto il gruppo impone, che se trasgredito può dare adito a
conseguenze incredibilmente pesanti.
La mia amica
ottiene la borsa di studio che l'ha portata fin qui per prendere il suo dottorato e il suo amore non può tirarsi ancora indietro di
fronte a nozze decise per l'ennesima volta per lui. I due si dicono addio, dopo
sei anni di parole abbracci e baci, lui si sposa e lei parte.
La mia
amica è di fronte a me e non ha più voce per raccontarmi la sua sofferenza
quando una suoneria dedicata del suo iPhone ricorda a me che siamo nel 2013 e a lei che è l'ora della
preghiera del crepuscolo, così va via, e mi lascia con lacrime che non voglio
piangere e domande che non voglio chiedere.