Lettera a
una generazione mista
Ciao Pulce!
Devo
scriverti, perché sei ancora troppo piccolo per capire e per ricordare, e
queste parole che rimarranno sulla carta potrai rileggerle quando vorrai, se
vorrai, anche quando sarai in grado di capirle meglio.
Devo
scriverti oggi perché tornato da scuola mi hai detto che ti senti “invaso dagli
extracomunitari”…
A volte
ripeti delle frasi che senti quasi senza capirne il senso profondo.
Penso di
poter fare qualcosa per te, che adesso nessun altro può fare, e che sicuramente
farà qualcun altro, ma più tardi, ed io non voglio correre il rischio che sia
troppo tardi.
Voglio
aiutarti ad attraversare certi confini.
Un sociologo
polacco ha detto: «I confini sono tracciati per creare differenze, per
distinguere un luogo dal resto dello spazio, un periodo dal resto del tempo,
una categoria di creature umane dal resto dell'umanità... Creare delle
differenze significa modificare le probabilità: rendere certi eventi più
probabili e altri meno, se non addirittura impossibili».
Io sono
cresciuta in una famiglia “normale” con mamma e papà vicini, innamorati tra
loro, con un livello culturale medio-basso, che non mi hanno fatto mancare
nulla, mi hanno fatto studiare quando ho capito che era quello che volevo, non
mi hanno ostacolata, e li ringrazio per questo.
Non so tu
come voglia diventare, ma io ti voglio offrire una possibilità che a me è stata
offerta “da grande”, e questo lo faccio perché rivedo me in te, sei un bambino
maturo, e so che puoi diventare una persona ottima, una di quelle che io
stimerei, e che sceglierei come amica.
Lo
so che incontrerai un sacco di persone importanti per te, che concorreranno
alla formazione delle tue idee, ma io
voglio solo spianare la strada a queste persone… voglio che gli amici che
sceglierai per te, che adesso ti sembrano così pochi, e che ti fanno arrabbiare
per davvero molto poco, saranno alla tua altezza.
Io
consideravo gli animali oggetti, a volte sporchi, altre pericolosi; amavo solo
la musica e i film commerciali; pensavo di non avere difetti, e che fossero
sempre gli altri a sbagliare; davo molto alle persone che mi interessavano, ma
mi sentivo autorizzata a pretendere; non avevo capito, né mi interessava, la
differenza tra destra e sinistra, non mi piaceva studiare; il diverso da me mi
spaventava; non conoscevo Beethoven, i Beatles, Bach, i Queen, Mozart: la musica è un linguaggio universale, perché è di
Dio, un Dio unico, senza confini.
Praticamente
niente di diverso di tanti ragazzini della tua età.
Adesso sono
tante le cose che devo ancora capire e imparare, ma alcune le ho ben presenti:
so da che parte stare, e anche se, come dici tu, non riesco a guardare un
telegiornale senza innervosirmi, questo non vuol dire che non sono felice,
perennemente insoddisfatta, ma felice: felice di essere cambiata, felice della
mia insoddisfazione.
L’autocompiacimento
non serve a nulla, e tu farai tutta una serie di sbagli prima di scoprirlo, e
ti auguro di “soffrire” un po’, perché gli intelligenti soffrono, ma poi c’è
sempre la catarsi.
Ti auguro di
viaggiare, di trovare sulla tua strada poche persone, ma buone, ti auguro una
Nella, un Lorenzo: amici che si faranno
perdonare tutte le loro marachelle, con i quali non potrai tenere il broncio
più di tanto, perché scoprirai che nessuno è perfetto, ma alcuni si
approssimano alla perfezione!
Ricordati che i confini sono affascinanti: hotel,
aeroporti, stazioni, phone point
internazionali: non luoghi dove sani e purificanti flussi di diversità
attraversano corpi meccanicamente e fisiologicamente uguali…
Attraversare i confini aiuta ad annullarli, ad
averne al proprio attivo talmente tanti da neutralizzare quelli mentali, duri a
morire.
L’auspicio, non la minaccia, è una nuova Babele dove
mattoncini diversi ma uguali, come quelli del Tetris, si uniscono e, pur mantenendo invariate le proprie
caratteristiche, si compattano: nel gioco del Tetris, infatti, il problema si ha quando si creano dei buchi,
delle distanze difficili da colmare, causate dalla posizione di chi ha già
trovato il suo posto, dalla velocità di chi arriva… sta a noi fare game over o best score!
Nascere in un posto piuttosto che in un altro non
dipende da noi, da intelligenza, furbizia e destrezza, nascere in una famiglia,
incontrare delle persone: è il caso che decide.
La scelta avviene dopo, la scelta di “lontano da
chi”, e di “con chi”… la scelta di abbattere i confini creati dagli altri, la
scelta di non vederne, ovunque, a migliaia, di non trincerarsi.
Chi costruisce limiti è la bassa manovalanza che si
nasconde dietro nomi, condizioni, varianti cromatiche.
Un
personaggio del mio telefilm preferito una volta ha detto: «A un certo punto
devi prendere una decisione: i confini non tengono fuori gli altri, servono
solo a soffocarti. La vita è un problema e noi siamo fatti così. Quindi puoi sprecare
la tua vita a tracciare confini. Oppure puoi decidere di vivere superandoli. Ma
ci sono dei confini che è decisamente troppo pericoloso varcare. Però una cosa
la so: se sei pronto a correre il rischio, la vita dall'altra parte è
spettacolare».
Non pretendo che tu capisca ora, ma promettimi
che rileggerai questa lettera quando sarai più grande e che capirai cosa c’è di
brutto nella frase che hai detto oggi.
Licia